potere terapeutico della letteratura lettura 19 Set 2020

BY: admin

Psicoterapia

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La letteratura ha un estremo potere terapeutico, potenzialità curative che spesso vengono ignorate o sottovalutate.

È a partire da alcuni esponenti del filone della psicoterapia esistenzialista, come Irvin Yalom, che si è cominciato a riflettere sull’importanza delle opere in ambito filosofico e letterario come veri e propri strumenti di formazione per il terapeuta.

Attraverso la lettura di grandi opere, infatti, il terapeuta può attingere a un inestimabile bacino di risorse, a una quantità enorme di spunti di riflessione e di comprensione della natura umana e della psiche. Spesso, infatti, nella produzione letteraria dei grandi autori riusciamo a cogliere in modo più preciso e chiaro alcune questioni di enorme importanza nel lavoro terapeutico.

Potremmo dire, estremizzando, che aver letto “Il processo” di Kafka aiuta a comprendere le dinamiche sottese al senso di colpa molto più che aver studiato un manuale di psicologia generale.  Attraverso l’episodio del grande Inquisitore ne “I fratelli Karamazov” di Dostoevskj, invece, il terapeuta può confrontarsi con quelle che, in un suo articolo, il dottor Simone Ordine ha definito “le tentazioni dello psicoterapeuta”: il miracolo, il mistero e l’autorità.

“Mi accusano di essere uno psicologo. Io sono un realista nel senso più alto della parola, cioè io mostro le profondità dell’animo umano” scriveva Dostoevkj stesso, in una lettera al fratello, evidenziando la grande forza dei suoi testi, specchio degli abissi più profondi dell’anima/psiche. La dimensione psicologica delle sue opere era evidente anche ai contemporanei.

È importante, dunque, che un terapeuta che voglia raggiungere maggiore consapevolezza e profondità nel proprio approccio si dedichi alla lettura, ampli il proprio orizzonte attraverso opere che non sono specialistiche del settore come manuali o articoli scientifici. Tutto questo può permettergli non soltanto di avere più strumenti nel proprio lavoro, ma anche di guidare il paziente e aiutarlo a giovarsi del potere terapeutico della lettura e della letteratura.

La lettura come strumento in terapia

Il terapeuta che si sia formato anche leggendo romanzi e opere filosofiche è in grado di aiutare il paziente a entrare in contatto con il potere benefico e dischiudente della letteratura. Naturalmente, questo approccio non è adatto a tutti e, come sappiamo, la psicoterapia deve essere modellata sul paziente, non imposta dall’alto come uno schema precostituito e uguale per tutti. Di conseguenza, l’uso della letteratura può essere indicato ed estremamente efficace per chi ha già una certa attitudine a immergersi nelle narrazioni costruite dagli autori. Se chi ci troviamo di fronte non ha un minimo interesse per le pagine dei libri e non ha mai fatto altro che sfogliare distrattamente qualche rivista, forse è meglio evitare di proporgli quella che oggi viene definita biblioterapia o libroterapia.

Per trarne giovamento è necessaria una certa predisposizione.

Leggere per bloccare la ruminazione e i pensieri ossessivi

Uno dei benefici più immediati che si sperimenta leggendo è la possibilità di interrompere il flusso di pensieri disforici o disadattivi che si legano ad alcuni disturbi psicologici.

Quando si soffre di depressione, per esempio, uno dei sintomi più frequenti è la ruminazione, una forma circolare di pensiero persistente e ripetitivo. La ruminazione induce a rievocare episodi negativi a livello emotivo, a focalizzarsi su di essi, favorendo il mantenimento dell’umore depresso. Leggere e immergersi nelle lettura consente di arginare questo flusso di pensieri, di bloccarlo e lasciare spazio a un nuovo pensiero, che è quello dell’autore.

Anche le nevrosi hanno a che fare con dinamica basata su pensieri continui, di tipo ossessivo-compulsivo. E anche in questo caso, leggere può aiutare a riprendere il controllo della situazione. Si arriva a una riduzione dei sintomi poiché distogliere l’attenzione dal pensiero insistente per concentrarla altrove fa sì che le ampolle neuronali relative ai pensieri ossessivi si indeboliscano. Quei circuiti cerebrali che teniamo sempre attivi e che rafforziamo attraverso la continua ruminazione, vengono spenti per accenderne altri.

Leggendo, spezziamo un circolo vizioso che si perpetua all’infinito, introduciamo un elemento nuovo.

Occorre evidenziare che chi soffre di disturbi psicologici ma riesce comunque ad avvalersi dello strumento della lettura, si trova in una condizione migliore di chi non ha neppure le forze per aprire un libro e provare a concentrarsi sulla pagina scritta. In un caso simile, il disturbo vissuto, per quanto grave, può essere superato. Leggere, infatti, significa poter esercitare un controllo sulla mente, il che implica una prognosi migliore, più positiva per il paziente.

La lettura per rompere l’isolamento

Molti disagi emotivi e psicologici sono collegati a una sorta di isolamento. La persona che ne soffre tende a chiudersi nel proprio mondo, ad alzare una barriera verso l’esterno, escludendo gli altri. La lettura permette di rompere questo “cerchio magico” e costituisce un’apertura al dialogo e alla relazione. Quando si legge, infatti, si vive un processo relazionale che è quello con l’autore, colui che ci parla attraverso quelle pagine, quelle storie, quei personaggi.

Ma c’è di più.

L’identificazione con i personaggi e le nostre parti rimosse

La lettura ci permette di uscire dal nostro io, spesso disfunzionale, che è alla radice del disagio che proviamo, come evidenziato da alcuni autori come Eckart Tolle nel suo “Il potere di Adesso”. Uscire dal nostro io e attuare un processo di identificazione, che consente di entrare in contatto con parti di noi stessi esiliate, scisse o rimosse, con emozioni che non accettiamo e che neghiamo, che non ci concediamo di provare, di cui abbiamo vergogna e che per questo soffochiamo.

È qualcosa che avviene nei libri così come avviene nella terapia di gruppo, dove i vari membri del gruppo ci fanno da specchi, rimandandoci immagini di noi stessi. Così, chi ha dovuto soffocare la rabbia e rimuoverla, può entrare in contatto e identificarsi con un personaggio che prova quella stessa emozione, arrivando ad accettarla, elaborarla, reintegrarla in sé. Chi ha rimosso alcuni aspetti libidici può entrare in contatto con una dimensione erotica. La lettura permette di sdoganare dei tabù, superare dei blocchi. L’aspetto interessante è che tutto questo è possibile perché l’incontro con l’emozione avviene in un luogo protetto, in una dimensione in cui ci si sente al sicuro, quella delle pagine del libro, che non può fare male.

Tutto questo può avvenire non soltanto per quel che riguarda le emozioni, ma anche per l’identità. Pensiamo a chi ha rimosso la propria omosessualità, negandosi la possibilità di vivere appieno e in modo autentico, in linea con quella che è la sua identità. Può capitare che leggendo un libro in cui c’è un personaggio omosessuale, quella persona provi una risonanza, appassionandosi alla sua storia. Quest’esperienza, riportata in terapia, può portare a una presa di coscienza su sé stessi.

Tutti i processi innescati dalla lettura possono essere velocizzati e resi più potenti attraverso il confronto con il terapeuta. Le scene che hanno colpito di più l’immaginazione del paziente possono essere riportate in terapia e trasformarsi in immagini guida, piste che conducono verso temi da approfondire, temi di discussione.

L’universalità e la competenza fenomenologica: fattori terapeutici della lettura

In molti casi, dalla lettura emerge un altro potente fattore terapeutico: quello dell’universalità, fattore che si trova anche nella terapia di gruppo. La letteratura, in poche parole, ci aiuta a sentirci meno soli perché spesso nei libri ritroviamo noi stessi, le nostre emozioni e difficoltà.

Attraverso le opere ci rendiamo conto che non siamo gli unici ad aver sperimentato determinati vissuti. Pensiamo a un libro come “La coscienza di Zeno” in cui, ironicamente, il protagonista confessa tutta una serie di difficoltà nel rapporto con le donne, con la dipendenza dal fumo della sigaretta.

Descrivere questo tipo di disagio in questo modo, parlarne apertamente, significa averlo accettato. Se l’autore è riuscito a mettere per iscritto quel tipo di vissuto significa, probabilmente, che lui stesso lo ha sperimentato ed è riuscito ad accettarlo. Ciò significa che anche noi possiamo accettarci, che non siamo soli e non siamo mostri perché c’è qualcun altro che ha provato le stesse cose.

È lo stesso tipo di dinamica che avviene in terapia di gruppo quando si ascolta parlare un membro più anziano, più avanti nel percorso terapeutico, di un problema che ha affrontato e superato.

Significa che anche noi possiamo seguire quella strada.

Altre volte, la letteratura ha capacità terapeutiche in quanto strumento di informazione, perché ci dà degli strumenti e delle nuove strategie per migliorare ed evolverci.

C’è poi quella che viene chiamata competenza fenomenologica. I libri ampliano le nostre possibilità di espressione, ci danno la possibilità di dire quello che proviamo. Spesso, infatti, sentiamo qualcosa dentro di noi ma non siamo in grado di esprimerlo appieno, di concettualizzarlo e quindi di comprenderlo appieno. Il filosofo del linguaggio Ludwig Wittgenstein ha scritto “I limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo”, una frase che spiega come se non abbiamo le parole per dire qualcosa, non ne possediamo neanche il concetto. Leggere ci permette di trovare quelle parole. A chi non è mai capitato di rimanere colpito da una frase, scritta magari un secolo fa, e pensare: “E’ esattamente così che mi sento?”

Il potere delle immagini e dei simboli della letteratura

Inoltre, la lettura ci offre immagini e simboli estremamente potenti che spiegano in modo immediato e intuitivo cose che non saremmo in grado di spiegare in altro modo.

Pensiamo alle parabole del Vangelo o anche ai racconti della mitologia.

Nel 1985, Italo Calvino viene chiamato a tenere un ciclo di sei conferenze all’università di Harvard, sei proposte per il nuovo millennio che diventeranno uno dei suoi libri più famosi, “Lezioni americane”.

Per parlare della leggerezza egli recupera il mito di Perseo e Medusa. Medusa, la gorgone che riesce a pietrificare chiunque la guardi negli occhi, rappresenta l’appesantimento, la rigidità, qualcosa di fronte alla quale ci sentiamo impotenti.

Per poterla sconfiggere, Perseo usa uno stratagemma.

Decide di non affrontarla direttamente ma di usare uno specchio, riuscendo a tagliarle la testa. Dal sangue di medusa nascerà Pegaso, il cavallo alato, simbolo della leggerezza. E Perseo porterà sempre con sé la testa staccata della gorgone, trasportandola in un sacco, per tirarla fuori nei momenti di maggiore difficoltà.

Questa vicenda così antica, entrata nell’immaginario comune, può essere letta in chiave psicologica. Può insegnarci che di fronte a un’emozione difficile che ci imprigiona e ci impedisce di muoverci, paralizzandoci nel corpo e nella mente, dobbiamo trovare strategie alternative.

Prenderla di petto e a mani nude non è una soluzione. Possiamo, invece, affrontarla un po’ per volta e con gli strumenti giusti. Possiamo guardare la situazione da un altro punto di vista, una prospettiva diversa, utilizzando una nuova chiave di lettura. E capire anche che quell’emozione, quel vissuto, non deve essere cancellato perché fa parte di noi e può diventare, come la testa di Medusa, una risorsa di potere inestimabile.

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